Mestre Eroica. Fare basket a guerra appena finita

(Storia di un gruppo di ragazzi a cui le bombe non han tolto la voglia di far canestro)

 

La seconda guerra mondiale, le sofferenze, le ristrettezze, i lutti, la fame. Ed insieme la voglia di far finta che fosse tutto normale quello che intorno stava accadendo.

Attilio, mio padre, è sempre stato un grande sportivo. In pieno conflitto è diventato campione italiano juniores dei 110 ostacoli allo (allora) Stadio Comunale di Torino, oggi l’Olimpico dove gioca il Toro. Ma è sempre stato il basket giocato la sua grande passione.

Alla palla a spicchi non ha mai rinunciato anche nei momenti più difficili. Anche quando si impalloccavano quattro stracci e si provava a far canestro su un pezzo di legno montato su un albero. Lo abbiamo fatto in tanti anche dopo, anche oggi. Ma non c’era una guerra in corso.

E’ in questo contesto che nacque la MESTRE EROICA. Gruppo di amici ed appassionati del Dopolavoro Ferrovieri. Che, a conflitto terminato, parteciparono pure a qualche campionato.

Il fai da te come regola prima. Collette per tutto. Ed il tutto era un pallone da avere ed un campetto da occupare. Le casacche inizialmente erano bianche: c’era chi indossava una maglia, chi una canottiera,  chi strappava le maniche ad una camicia. E pure chi di maglietta, a quel tempo, ne aveva una sola: tornava a casa dal lavoro, la lavava, la infilava in borsa bagnata e “se la asciugava addosso” durante la partita.

Fondamentale l’apporto di mogli e fidanzate. Le portavano nelle trasferte in treno a Udine, Conegliano e Vittorio Veneto, sfruttando i biglietti gratuiti per loro che lavoravano in ferrovia. Nel tagliando collettivo, però, i nomi femminili scomparivano per poter approfittare della gratuità: Elena, ad esempio, era ormai diventata “Mario” per tutti. Al ritorno da un torneo compartimentale, vinto con 3 vittorie su 3, la comitiva si è divisa il primo premio conquistato: una grande scatola di latta piena di biscotti.

 

 

Ma le ragazze aiutavano anche a risolvere i problemi dell’ultima ora. Come quando un arbitro fin troppo esigente chiese a tutti di esibire un numero sulla maglia. Ago e filo c’erano, ma mancava la tela da ritagliare. La soluzione fu trovata dal sedicente “Mario” che aveva in borsetta un rossetto. Sufficiente, per fortuna, a tracciare le cifre sulle “canotte” dei prodi atleti. La sua risata nel raccontarlo a quasi settant’anni di distanza è schietta e fragorosa quanto allora.

 

Giocavano in questo campetto in località Bandiera, nei pressi della stazione ferroviaria più o meno di fronte all’attuale via Ca’ Marcello. Per i nomi dei protagonisti serve un aiutino. Facile ricordare Attilio Pittarello; c’era Mario Gheller. Poi Marcigliano e Piva. Qualcuno ricorda gli altri?

 

Stefano Pittarello per www.driocasa.it
©RIPRODUZIONE RISERVATA

Scrivete a redazione@driocasa.it

Per ricevere gli aggiornamenti attraverso i social network:
Facebookhttps://www.facebook.com/DrioCasaDiarioWebdiMestre (cliccare su MI PIACE)
Twitter: https://twitter.com/DrioCasa
RSS Feed: http://www.driocasa.it/feed/