1981: Giuseppe Taliercio, martire del terrorismo

Giuseppe Taliercio (dal libro "Taliercio 10 anni dopo"

Giuseppe Taliercio (dal libro “Taliercio 10 anni dopo”

“Dentro di me è la parola che portava suo marito, è la sua battaglia, che ha vinto”.

Chi parla -anzi, chi scrive- è uno dei terroristi che nel luglio 1981 ha ucciso Giuseppe Taliercio, dirigente della Montedison. Meno di quattro anni dopo quei fatti, dal carcere di massima sicurezza scrive alla vedova Gabriella di questa singolare battaglia. Persa.

“L’ha vinta contro di me che solo oggi riesco a comprendere qualcosa, l’ha vinta contro tutti coloro che ancora oggi non capiscono. Anche in quei momenti suo marito ha dato amore, è stato un seme così potente che neanche io, che lottavo contro, sono riuscito a estinguere dentro di me. Questo è un fiore che voglio coltivare per poter poi essere io a donarlo”.

Due anni dopo, un’altra brigatista che aveva seguito l’ingegnere durante i mesi del sequestro, nel chiedere perdono alla famiglia Taliercio ammise la grande forza che sosteneva quell’uomo, reso progressivamente minuscolo dagli stenti della prigionia ma che al contempo si mostrava gigante per la potenza della sua fede.

la famiglia Taliercio ad una comunione all'asilo del Sacro Cuore (dal libro "Taliercio 10 anni dopo")

la famiglia Taliercio ad una comunione all’asilo del Sacro Cuore (dal libro “Taliercio 10 anni dopo”)

…il vivergli accanto giorno dopo giorno, ora dopo ora, ci portò inevitabilmente alla conoscenza dell’uomo, del suo spirito estremamente delicato, dignitoso e mai arrogante. C’era nelle sue preghiere qualcosa che allora non capivo, oggi comprendo che tutta la sua forza d’animo era intimamente legata al valore che lui dava alla preghiera. La preghiera era il suo mondo insindacabile, dove noi con la nostra stupida razionalità non potevamo raggiungerlo; i nostri processi, le nostre censure nulla potevano contro la fede“.

Chi conosceva Giuseppe Taliercio non aveva dubbi in proposito. Don Franco De Pieri, allora sacerdote della parrocchia mestrina di San Lorenzo ed intimo amico del dirigente, lo aveva ben descritto in un accorato estratto dell’appello pubblico ai brigatisti diffuso dopo un mese dal sequestro:

….un usurpatore, un uomo meschino, un accaparratore, un ingiusto. Vi avverto: l’ing. Taliercio non è nessuno di questi e voi lo sapete, e se non gli usate violenza fisica o psicologica, disarmerà anche voi e le vostre false e ipotetiche accuse…“.

Le lettere, riportate integralmente in allegato a piè di pagina, furono rese pubbliche dalla moglie Gabriella Taliercio ed inserite in seguito nel volume Taliercio dieci anni dopo edito dall’Associazione Nazionale Giuseppe Taliercio che da allora tramanda il ricordo dell’ingegnere con pubbliche iniziative.

Foto del fotogiornalista Dino Fracchia

 

Il link della scheda di Giuseppe Taliercio dell’AIVITER – Associazione Italiana Vittime del Terrorismo http://www.vittimeterrorismo.it/memorie/schede/taliercio.htm

 

La manifestazione sindacale dopo l’omicidio nel luglio 1981. dinofracchia.photoshelter.com/image/I0000VfQup4d4DtA

 

La motivazione della medaglia d'oro al valore civile (dal libro "Taliercio 10 anni dopo")

La motivazione della medaglia d’oro al valore civile (dal libro “Taliercio 10 anni dopo”)

 

LE LETTERE INVIATE DAI BRIGATISTI PENTITI ALLA FAMIGLIA TALIERCIO (da Taliercio 10 anni dopo)

Lettera firmata di una brigatista
Paliano, 18 febbraio 1987
Gentile Signora,
scriverle queste poche righe è un atto che compio con estremo dolore in quanto i fatti di questi ultimi giorni mi hanno ributtato addosso un vissuto mai dimenticato, in tutta la sua brutalità ed il suo orrore.
In tutti questi anni non sono mai riuscita a scriverle non perché non ne sentissi la necessità, ma perché sentivo di non avere il diritto di riaprire una ferita mai cicatrizzata, di procurare altro dolore. So che lei ha perdonato, che nella sua infinita bontà porta una croce il cui peso è tutto nostro, mio.
Il suo perdono è per me la misura del grande dolore provocato, la sua grande prova d’amore, l’abisso nero in cui si dibatte la mia coscienza. Del suo perdono ora ne comprendo l’enorme portata benefica nello spirito, ne percepisco la pienezza e la ricchezza, la pace, la serenità ed il dolore che mi dona. E’ una sofferenza che si è impossessata di me piano piano, quasi a mia insaputa, s’è impossessata dei suoi più intimi recessi. Vivo tutto ciò come un benevolo soffio purificatore che mi porta a pensare in un possibile riscatto di me stessa. Perciò oggi posso scriverle senza timore di riaprire una ferita, poiché ciò che scrivo mi viene dettato dal cuore.
Noi tutti abbiamo partecipato a toglierle la sua serenità e la mia lettera non ha la pretesa di restituirgliela, ma voglio renderle una parte di momenti intimamente vissuti da suo marito.
Nella nostra follia volevamo colpire il simbolo, ma, il vivergli accanto giorno dopo giorno, ora dopo ora, ci portò inevitabilmente alla conoscenza dell’uomo, del suo spirito estremamente delicato, dignitoso e mai arrogante. C’era nelle sue preghiere qualcosa che allora non capivo, oggi comprendo che tutta la sua forza d’animo era intimamente legata al valore che lui dava alla preghiera.
La preghiera era il suo mondo insindacabile, dove noi con la nostra stupida razionalità non potevamo raggiungerlo; i nostri processi, le nostre censure nulla potevano contro la fede.
Rifiutava il vedere in noi una sorta di umanoidi, non poteva credere che avessimo perso di vista il nostro intento dell’uomo sulla terra: l’essere comunità, il benessere reciproco, la pace tra i popoli, la fiducia verso i propri simili. Perciò non si era mai arreso di fronte alla realtà dei fatti.
La sua fede illimitata in Dio e negli uomini dava forza al suo bisogno interiore di crearsi, anche in quella situazione, la propria dimensione umana.
Non poteva accettare che una parte, così importante, di esso venisse calpestata ed uccisa dalla stupidità umana. Questa sua forza, caparbietà, si imponeva con dolcezza, andava al di là del contingente, si trasformava in serenità di giudizio anche con noi suoi aguzzini.
La certezza di essere giusto lo rendeva estremamente tranquillo, il pensiero della sua famiglia lo confortava.
Scrisse delle lettere che poi strappò in minutissimi  pezzetti, conoscendolo, lei potrà immaginare quanto fosse geloso dei suoi sentimenti. Non avrebbe mai potuto superare lo scoglio della censura che ci avremmo posto, per cui quelle lettere non furono mai lette e mai spedite, perché le distruggeva appena scritte. Mai, neanche per un istante, ha dubitato della forza con cui avrebbe reagito la sua famiglia, sia nel bene che nel male.
Mi permetto qui di riportare un episodio di cui sono stata testimone indiretta. Su un giornale locale di Venezia era stata pubblicata la notizia che sua figlia (credo Bianca) proprio in quei giorni, stava preparandosi per la tesi di laurea. Ne demmo notizia a suo marito che capì quanto noi eravamo perplessi e nel suo modo molto pacatamente ci disse che non poteva essere diversamente, che era orgoglioso di sua figlia, che, nonostante la precarietà della situazione, era fiero che nulla fosse mutato nella quotidianità della sua famiglia, che proprio in quei momenti di estremo turbamento d’animo, i suoi figli, la sua famiglia agissero secondo l’educazione data loro.
Fu una testimonianza di grande affetto e di una fiducia senza limiti.
Queste tante e piccole cose crearono in me una frattura insanabile, mai dimenticherò l’uomo e mai mi perdonerò di aver seguito il mio istinto che mi dettava di rompere, in quel momento, il patto di solidarietà che mi legava ai miei compagni, facendo modo di non oltraggiare la dignità e la fiducia, così disarmante, dell’ingegnere. Non detti ascolto a quella vocina che proveniva dai profondi meandri del mio cuore, adottai Pilato a maestro e mi fece mandar via. Quello che io percepii dell’ingegnere lo tenni gelosamente occultato in fondo all’anima, ma oggi, che finalmente ho trovato il coraggio di guardarmi in profondità, l’ho ritrovato.
Non potrò più pensare a quei momenti senza morire ogni volta un po’, l’essere stata consapevole per un momento del tremendo sbaglio che stavamo facendo e non aver scelto, determinandola, la strada dell’amore. Anche quando avrò pagato il mio debito con la giustizia degli uomini, io mi porterò dentro questa macchia che è una ferita profonda e sempre si rinnoverà.
La mia angoscia diventa disperazione rendendomi conto che la spirale di violenza non si è ancora chiusa e che ciò e’ un frutto mio e di altri, è un mostro che io ho contribuito a venire al mondo, come un’idra dalle mille teste il cui cervello è al servizio della bestialità, il profondo disprezzo della vita è il suo cibo.
Signora Taliercio, lei ha avuto tanto coraggio nel perdonare gli assassini di suo marito, la prego accetti che una simile persona, quale io sono, le chieda umilmente perdono.
Per essersi appropriata di un bene prezioso, come la vita, che apparteneva a lei, per averla privata dell’amore di suo marito, per aver privato i suoi figli dello stimolo dolce, severo, affettuoso di un padre, per averne oltraggiato lo spirito e il corpo, umiliando la sua essenza di uomo. Non potrò mai restituire ciò che ho rubato e perciò non mi basterà la mia intera vita a pagare un prezzo equo.
Congedandomi da queste poche righe coltivo l’illusione di averle reso qualcosa che le appartiene, mi creda, vorrei poterlo credere; ciononostante vorrei che potesse essere per lei un dolce ricordo ciò che la mia desolata memoria ha conservato.
Ringraziandola per la sua cortese attenzione le porgo cordiali saluti.

Lettera firmata di un brigatista
Paliano, 27 febbraio 1985

Gentile Signora Gabriella,
non è da tanto che conosco un amico comune, questa persona dolcissima mi ha fatto un regalo un giorno. Forse è uno dei regali più importanti che abbia ricevuto in questi ultimi anni. Questo regalo è un libro ed in questo libro parlava lei, i suoi figli e tramite voi anche suo marito.
Appena l’ho tolto dall’involucro ed ho capito di che si trattava l’ho sbattuto sul letto, l’avrei voluto fare in mille pezzi, ma fortunatamente, perché per me era molto più di un libro, l’ho solo messo da parte insieme agli altri.
E’ dovuto passare del tempo, ho dovuto piangere, ho dovuto conoscere altri come me, ma più avanti di me nel cammino della comprensione, perché riaprissi quel libro.
Attraverso le vostre parole si è ripresentata agghiacciante la realtà. Una realtà che avevo tentato di allontanare da me in mille modi. Non riesco neanche ad immaginare il dolore che vi ho procurato, l’ho potuto capire in parte da come parlavate di suo marito, dell’amore che vi legava, di come dei valori quali la comprensione, l’amore, la speranza che, dite, ve li aveva insegnati lui siano legate alla vostra vita in maniera indissolubile.
Se giro la testa all’indietro c’è un grande deserto ed in mezzo a questo qualche fiore, questi li ho portati con me o oggi li accudisco affinché possano moltiplicarsi e in questo giardino possano un giorno entrare ancora come una volta le persone.
Lei, signora, ha parlato di speranza ed amore ed è con la speranza di essere compreso e con il dolore e l’amore che oggi mi lega a delle persone a cui ho fatto tanto male che vorrei restituirle qualcosa di quello che entrando nella sua casa quel giorno ho tolto.
Non è molto e non potrà restituirle tutto perché immagino sia un grande tesoro quello che vi ho sottratto.
Suo marito in quei giorni è stato come lei lo descrive, pacato, pieno di fede, incapace di odiare e con una dignità altissima.
E’ vissuto serenamente anche se il suo pensiero e le preoccupazioni andavano a voi. Era lui che tentava di spiegarci quale era il senso della vita ed io in particolare, non capivo, non capivo da dove prendesse la forza per sentirsi così sereno, quasi staccato dalle cose terrene.
La sua dignità e riservatezza si esprimevano nei piccoli mille gesti quotidiani ponendolo mille miglia distante da me.
No, non era rassegnazione la sua, ha lottato per affermare il suo, come quello di molti altri, diritto alla vita, anche con noi che parlavamo un linguaggio di morte.
Lo so, signora, questo non le restituirà molto, ma sappia che dentro di me è la parola che portava suo marito, la sua battaglia, ha vinto.
L’ha vinta contro di me che solo oggi riesco a comprendere qualcosa, l’ha vinta contro tutti coloro che ancora oggi non capiscono. Anche in quei momenti suo marito ha dato amore, è stato un seme così potente che neanche io, che lottavo contro, sono riuscito a estinguere dentro di me. Questo è un fiore che voglio coltivare per poter poi essere io a donarlo.
Forse se non ci foste stati voi a donare per primi questo seme io sarei ancora perso nel deserto.
Credetemi sono in debito con voi per questo ed altro e spero soltanto di colmare questo vuoto restituendo ed insegnando ad altri quello che voi avete dato e insegnato a me.

 

 

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